Noia al lavoro

Curiosando in giro per il web, sempre in cerca di articoli sulla psicologia, ahimè in inglese, mi sono imbattuta nella sindrome da boreout, della quale non conoscevo l’esistenza.

Ne sono stata felice, perché grazie all’approfondimento che ho fatto su questo tema sono riuscita a dare un pieno significato alla frase

Mi pagano troppo per quello che faccio, troppo poco per quanto mi annoio.

Daniel Pennac, Il paradiso degli orchi

Una frase pronunciata dal mio personaggio preferito, Benjanin Malaussène, che di mestiere fa il capro espiatorio in un grande magazzino.

La frase mi ha colpita quando l’ho letta e mi si è fissata in memoria. Forse perché la considero veramente sagace.

È difficile parlare di quanto ci si riesca ad annoiare sul posto di lavoro. Anche se sembra che sia un fardello che molte persone sono costrette a portare, una condizione tanto pesante da meritare, secondo l’acuto Malaussène, un indennizzo.

Ma perché si parla di sindrome da noia?

È normale pensare, ad esempio, che chi non ha niente da fare si annoi. È questo?

Forse, in parte, ma temo che sia un pelino più complicato di così.

Il termine “boreout” è stato introdotto nel 2008 da Rothlin and Werder (rispettivamente un project manager e un consulente d’azienda), con il libro “Boreout!: Overcoming Workplace Demotivation”.

Il termine si riferisce ad uno stato emotivo negativo, provato da alcune persone sul posto di lavoro. Questo stato principalmente ha a che fare con un giudizio negativo che la persona attribuisce alle attività che deve svolgere. Che possono essere giudicate noiose, prive di significato o monotone, sicuramente non coinvolgenti o sfidanti, inadeguate alle proprie capacità, insufficienti nel numero.

Sindrome da boreout
Da pixabay.com

Questa situazione, se protratta nel tempo, può portare ad una diminuzione dell’interesse per il proprio lavoro, la propria carriera e l’organizzazione di appartenenza. E la diminuzione di interesse può portare ad una progressiva e sempre maggiore mancanza di risorse da investire nel proprio lavoro.

La noia provata sul lavoro sembra non dipendere solo dal tipo di attività da svolgere, comunque giudicata svilente dalla persona, ma anche dal confronto con le attività assegnate ai colleghi. Che potrebbero essere giudicate più importanti o interessanti. In questa situazione è facile che ci si vergogni e che si tenda a non far emergere il problema. E che ci si senta anche colpevoli, credendo di meritare tutto quello che sta succedendo.

Specialmente quando la relazione con i propri superiori, o con i propri pari, non è poi così buona.

La boreout syndrome non è da sottovalutare perché potrebbe causare stati d’ansia, distress (lo stress negativo) e buttare giù il morale e le energie. E potrebbe farci sentire anche arrabbiati, turbati e nervosi.

Come si può evitare questo problema?

Intervenendo a livello organizzativo, con qualche accorgimento:

Ogni singola persona dovrebbe essere considerata per le capacità e la disponibilità che può offrire.
Si dovrebbe riflettere su una più equa distribuzione dei compiti noiosi e ripetitivi, così come delle responsabilità.
Bisognerebbe prevedere una rotazione degli incarichi e dei ruoli.
In poche parole, si dovrebbe pensare a rendere il lavoro e l’ambiente relazionale più vario, rivedendo, in modo critico, il metodo adottato per l’assegnazione dei compiti.

Questi accorgimenti appena elencati sono frutto solo del buon senso, purtroppo non ho trovato studi che supportino nessuna delle soluzioni che ho proposto.

Mentre per la prima parte ho preso come riferimento questo studio:
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2021.697972/full

L’autoformazione ECM

L’autoformazione, ossia l’autoapprendimento, rientra nelle attività che vengono definite individuali. In questo gruppo di attività formative rientrano anche il tutoraggio individuale, la formazione individuale all’estero, le pubblicazioni scientifiche e le sperimentazioni cliniche.

La particolarità di questo tipo di attività è che, pur non essendo erogate da nessun provider accreditato ed essendo sprovviste, quindi, di un test finale di valutazione dell’apprendimento, possono essere rendicontate sul sito CO.Ge.APS per il riconoscimento di crediti ECM.

Quali attività rientrano nell’autoformazione?

La lettura di riviste scientifiche, di capitoli di libri (o libri interi) e di monografie; tutte attività che, essendo svolte in completa autonomia dal professionista, sono sprovviste di test di valutazione dell’apprendimento. E’ importante sottolineare che la lettura degli ebook messi a disposizione dai provider accreditati non rientra nell’autoformazione: con questi ebook, infatti, è necessario superare il test finale di valutazione dell’apprendimento per ottenere i crediti associati, esattamente come i corsi.

Quanti ECM possono essere acquisiti per ogni lettura?

Dipende dal tempo, in ore, che hai impiegato per leggere e apprendere il contenuto dell’articolo o del libro: ogni ora di impegno corrisponde ad 1 credito ECM, come indicato nella guida Co.Ge.APS.

Quanti crediti posso acquisire, nell’arco di un triennio, per l’autoformazione?

Il 20% dell’obbligo formativo individuale. Se, ad esempio, il tuo obbligo formativo fosse di 150 ECM, potresti inserirne 30 come autoformazione; se invece fosse di 100 ECM, potresti registrarne solo 20.

Sembra che non esista un limite massimo complessivo di ECM per la tipologia “formazione individuale”; l’unica soglia certa che ho trovato riguarda il numero minimo di crediti che devono essere acquisiti attraverso la partecipazione agli eventi e ai corsi accreditati e corrisponde al 40% dei crediti totali. Bisogna quindi regolarsi di conseguenza e distribuire il restante 60% fra i corsi accreditati, le eventuali attività di formazione individuale e quelle, sempre eventuali, di docenza.

Dico eventuali perché l’obbligo formativo puoi totalmente acquisirlo partecipando ad eventi e corsi accreditati, come discente. O leggendo gli ebook messi a disposizione dai provider accreditati.

Chi può acquisire crediti in autoformazione?

Tutti i professionisti sanitari, in base alla Delibera CNFC dello 07/07/2016.

Come si fa a registrare i crediti in autoformazione?

Dopo essere entrata, o entrato, nel sito Co.Ge.APS, con SPID o con CIE, devi spostarti nella cartella “Crediti individuali”.

Tab Crediti individuali

Come tipologia di credito devi impostare Autoformazione. Ti appariranno i campi per le date di inizio e di fine dell’evento, che compilerai con le date di inizio e fine della tua lettura.

Per il campo Obiettivo hai a disposizione una ricca lista di voci: dovresti scegliere quella più attinente a ciò che hai letto. Se non sai cosa mettere, ti suggerisco  “Contenuti tecnico-professionali (conoscenze e competenze) specifici di ciascuna professione, di ciascuna specializzazione e di ciascuna attività ultraspecialistica, ivi incluse le malattie rare e la medicina di genere”, che è un po’ come il bianco, va su tutto.

Poi devi inserire il numero di ore di formazione e il tipo di autoformazione, che può essere “Materiali durevoli” o “Letture scientifiche”. Ora, la differenza fra queste due voci non mi è proprio chiara: io ho associato la voce “Materiali durevoli” ai libri e l’altra agli articoli scientifici. Però potrei sbagliarmi….. quindi la realtà è che non ho indicazioni da darti.

Poi devi digitare il titolo del materiale che hai letto. Per completezza, di solito inserisco anche gli autori e l’anno di pubblicazione.

Tutto questo sulla colonna di sinistra. Su quella di destra inserisci la tua professione e la disciplina.

Pagina autoformazione

Poi premi “Invia richiesta”.

Ti apparirà questa schermata, che sarebbe l’autocertificazione.

Pagina autocertificazione

La leggi, spunti la casella “Accetto l’autocertificazione sopra citata” e di nuovo “Invia richiesta”.

E il gioco è fatto!

L’applicazione ti riporta alla pagina iniziale, quella dell’elenco dei tuoi crediti, dove ti appariranno i crediti appena inseriti.